Il Venezuela è uno stato sudamericano confinante con Guyana, Brasile e soprattutto Colombia, con la quale ha sempre coltivato intense relazioni diplomatiche, e avente come capitale la metropoli Caracas. A seguito dell’arrivo dei conquistadores il Venezuela fu assoggettato alla corona di Spagna, la quale impose il proprio dominio economico (soprattutto a causa delle considerevoli risorse agricole del territorio) a discapito della popolazione indigena. Questa situazione di oppressione si protrasse fino al 1810 con l’inizio della rivoluzione guidata prima dal generale Francisco de Miranda e successivamente dal mitico condottiero Simon Bolivar, eroe della liberazione non solo del Venezuela, ma anche di Colombia, Ecuador, Bolivia, Perù e Panama. Nel 1819 Bolivar unificò i territori di Colombia e Venezuela in un unico stato di cui divenne presidente: la Grande Colombia. Seguitamente nel 1821 le truppe di Bolivar sconfissero l’esercito del generale Miguel de la Torre, liberando definitivamente la nazione dagli spagnoli. Da allora fino alla Seconda Guerra Mondiale il Paese non ha trovato numerosi sbocchi di sviluppo economico. Solo a partire dal secondo dopoguerra, grazie alle ondate di flussi migratori di gente proveniente soprattutto dall’Italia, l’economia ha ricevuto i primi impulsi ed è stato instaurato un duraturo sistema di governo democratico. Nel 1999 viene eletto presidente Hugo Chàvez, che attua un piano di politiche rivoluzionarie (“rivoluzione pacifica”) di stampo marxista e socialista. Avvia, inoltre, un progetto di destituzione delle cariche giudiziarie corrotte e resiste ad un tentato colpo di stato patteggiato dai settori cardini del sistema capitalistico, come quello dell’imprenditoria o lo stesso esercito. Chàvez, il quale fu uno dei governanti più amati dal popolo venezuelano, emana una nuova Costituzione che proclama la nascita della Repubblica Bolivariana del Venezuela. Alla sua morte, nel 2013, gli succede Nicolas Maduro. Dopo la sua elezione la situazione economica e sociale del Venezuela va incontro ad una repentina decrescita. L’inflazione (aumento dei prezzi che porta alla diminuzione del potere d’acquisto della moneta) ha raggiunto il milione per cento. -Fonti immagini: euronews, Espresso Nelle immagini sopra riportate, sono raffigurati degli oggetti solitamente pagati per una cifra modica, ma che in Venezuela, a causa dell’iperinflazione, necessitano di quei cumuli di denaro mostrati. Difficile da realizzare pensando che nel 1970 il Venezuela, grazie alle riserve petrolifere, era il paese più ricco dell’America Latina. Ma negli anni ’80 si decise di ridurre drasticamente la produzione di quest’oro nero per timore del suo esaurimento. Come se ciò non bastasse, ci fu anche una riduzione del prezzo del petrolio e la mescolanza di questi due fattori produsse una riduzione del PIL del 46%. Ma l’economia si riprese notevolmente con il governo Chavez che riuscì a dimezzare il tasso di disoccupazione, povertà e mortalità infantile. Attualmente Maduro ha accentrato ogni potere nelle sue mani, demolendo il sistema democratico del Paese, il prezzo dei beni primari subisce ingenti mutamenti di minuto in minuto, la valuta locale (il bolivar venezuelano) corrisponde a 0,016 dollari americani, gli stipendi medi che non superano i 35 dollari mensili e centinaia di migliaia di venezuelani hanno abbandonato il Paese (1,6 milioni a fine 2017, una quantità sicuramente incrementata negli ultimi mesi). Maduro ha intenzione di chiedere all’ONU, per finanziare il suo progetto di rimpatrio dei venezuelani sparsi per il Sudamerica, 500milioni di dollari, poiché crede che siano fuggiti perché ingannati da false promesse. “In Venezuela ogni giorno è uguale all’altro” (dal “Post”, 30 maggio 2017), poiché ormai da anni si assiste quotidianamente a proteste più o meno pacifiche della popolazione, che rivendica la liberazione dei prigionieri politici, la restituzione de poteri al parlamento e la creazione di corridoi umanitari, osteggiate con brutale durezza da parte delle forze di polizia e dall’esercito. Le più tragiche escalation di violenza si sono verificate nel 2014 e nel 2017. Un nuovo capitolo a questa tragica storia è stato scritto il 7 agosto 2018, quando due droni carichi di esplosivi sono stati lanciati verso il presidente Maduro durante le celebrazioni per l’anniversario delle forze di sicurezza bolivariane.
L’attentato è stato prontamente sventato e il presidente è rimasto illeso, ma ci si è subito lanciati nella consueta caccia ai responsabili. Il dittatore (o presunto tale) ha accusato il presidente colombiano Santos di essere un affidabile esecutore degli ordini di Washington D.C. e di essere implicato in qualche maniera con il gruppo terroristico che ha rivendicato l’attacco (Soldados de Franela). Sebbene risulti alquanto complicato escludere a priori alcuna ingerenza internazionale nel caso dell’atto terroristico nei confronti del presidente, esso costituisce un rumoroso campanello d’allarme per la stabilità e irrevocabilità del suo potere. L’opposizione “democratica” infatti potrebbe ricorrere all’azione terroristica qualora ritenesse l’esperienza del “movimento di piazza” conclusa e fallita. Inoltre l’Osa (Organizzazione degli stati americani, in realtà uno strumento gestito dagli Usa per controllare l’America Latina) ha, nella figura del segretario Luis Almagro, minacciato un intervento contro il Venezuela al fine di destituire Maduro. Nonostante le varie prese di distanze dei governi di destra dei Paesi membri dell’organizzazione (al giorno d’oggi Bolivia, Uruguay e Venezuela sono le uniche realtà sudamericane non dipendenti ideologicamente dal capitalismo americano), l’ipotesi di una veemente dimostrazione di forza rimane molto plausibile, dal momento che gli stessi Stati Uniti hanno individuato nel Venezuela un nemico che è necessario dover sconfiggere per poter avere il controllo sulle sue immense risorse petrolifere. Come se ciò non bastasse, il governo ha dovuto ricorrere ad accordi con i piccoli proprietari terrieri, che denunciavano la corruzione e la disonestà dei funzionari del ministero dell’Agroindustria che lavoravano a vantaggio dei grandi latifondisti. A poche ore dall’inizio dello sciopero della fame iniziato dai contadini in segno di protesta, si è provveduto a licenziare i funzionari incriminati e a porre le basi per formulare un nuovo modello di sviluppo agricolo vantaggioso per i piccoli contadini. Se si può trarre una conclusione (per quanto sommaria e potenzialmente soggetta a variazioni) riguardo questa situazione, si può dire che in Venezuela hanno tutti torto. Ha torto Maduro che ha compiuto scelte sbagliate in ambito sociale, come il ricorso alla violenza per sedare le proteste popolari, ed economico. Ha torto l’opposizione dicasi democratica, che non ha altro intento all’infuori della svendita del Paese ai privati traendo grandi guadagni da spartire tra poche mani. Inutile citare gli Stati Uniti d’America o l’Osa, in quanto l’imperialismo, economico o militare che sia, non può mai essere valutato in un’accezione positiva diversa. Ma nel mentre la gente comune continua a patire sofferenze immani, e una ripresa economica non sarà possibile finchè il Venezuela non potrà godere di un minimo di stabilità politica, che al momento sembra solo un miraggio. Quadruplicare la produzione di petrolio e rimpatriare migliaia di cittadini, come ha intenzione di fare Maduro, potrà veramente essere d’aiuto per la ripresa di questa nazione? Difficile, ma il Venezuela è stato messo in una posizione scomoda, che in un’epoca come questa non dovrebbe essere contemplata: il Venezuela si deve salvare da solo. -Adriano Livrieri & Federica Squicciarini
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AutoreSiamo due ragazzi con la passione per il mondo. Non conosciamo muri nè barriere, solo orizzonti Archivi
Ottobre 2018
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