Mentre in tutta Europa ci si prepara all'arrivo di un nuovo inverno, climaticamente e politicamente parlando, in Gran Bretagna il clima politico e sociale si fa tanto più bollente quanto più ci si avvicina a quel fatidico 29 marzo 2019, giorno che decreterà l'addio del Regno Unito all'Europa. A sei mesi esatti dall'arrivo di tale data, dalle parti di Downing Street si percepisce un'atmosfera tutt'altro che serena. Sono molteplici infatti le questioni a cui la premier Theresa May deve far fronte, la più spigolosa delle quali è la buona riuscita dei negoziati con Bruxelles per attuare una Brexit più “controllata”. La May è rimasta molto interdetta a seguito dell'inaspettata bocciatura, da parte dei capi di Stato europei, del cosiddetto “Chequers Plan”, una bozza d'accordo che non solo è stata giudicata fallimentare dal presidente del Consiglio europeo Donald Tusk, ma ha scatenato una vera e propria lotta intestina al suo stesso partito (i Tories, conservatori). L'ala più radicale del partito considera l'approccio della sua leader eccessivamente accondiscendente nei confronti di Bruxelles, la quale tuttavia minaccia di far crollare il tavolo delle trattative con l'Unione già a partire dal decisivo vertice di ottobre. Ma perchè lo “Chequers Plan” è così osteggiato dai vertici europei? Tra i vari nodi dell'accordo il più arduo da sciogliere è quello riguardante la frontiera tra Irlanda (membro UE) e Irlanda del Nord (parte del Regno Unito), una zona storicamente instabile e potenzialmente esplosiva, oltre che economicamente rilevante. La creazione di una frontiera dura (cioè con controlli e dazi) ostacolerebbe il libero transito di persone e merci, danneggiando le economie di entrambi i territori. La soluzione proposta dalla May non prevede una frontiera tra le due Irlande, e ammette, nell'arco di venti mesi di transizione, un nuovo accordo tra Londra e Bruxelles per mantenere intatta la libera circolazione in tutto il territorio britannico, di fatto avvalendosi dei diritti di cui il Regno Unito si è privato approvando la Brexit, motivo per il quale questa soluzione non è presa in considerazione dal Consiglio europeo. Di contro, il piano europeo è quello di conferire all'Irlanda del Nord (chiamata anche Ulster) uno statuto speciale che le permetterebbe di aderire all'unione doganale. Il governo britannico chiude a priori questa strada, non ritenendo ammissibile la creazione di una frontiera all'interno del proprio stesso territorio (l'Ulster sarebbe di fatto separata economicamente e politicamente dal resto del Regno). Qualora le due parti non dovessero raggiungere un accordo, l'uscita della Gran Bretagna dall'Unione Europea comporterebbe situazioni di estremo disagio a livello economico, che potrebbero sfociare in aumento eccessivo dei prezzi e, consequenzialmente, in una crescita della povertà causata dalla forte inflazione (alcune zone dell'Ulster potrebbero rimanere completamente al buio a causa dei prezzi eccessivamente proibitivi delle bollette), Ma soprattutto si rischierebbe di riaccendere le tensioni tra Irlanda e Irlanda del Nord interrotte ventuno anni fa, dopo aver causato centinaia di perdite umane. A livello politico, Theresa May si sta letteralmente giocando la carriera in questa trattativa ma, data la precaria condizione dello status dei negoziati, è alquanto probabile che da questa partita ne possa uscire perdente. Inoltre, si fa sempre più concreta l'eventualità di nuove elezioni politiche qualora le circostanze dovessero ulteriormente peggiorare. A quel punto, i Tories rischierebbero di perdere clamorosamente alle urne, tenendo anche in considerazione l'incredibile ascesa del Labour, guidato dal socialista e carismatico Jeremy Corbyn. Secondo le ultime rivelazioni (fine luglio di quest'anno, pubblicate dall'Istituto Survation) i laburisti sconfiggerebbero i conservatori, avendo così la possibilità di cercare "una Brexit che protegga il lavoro e l'economia". In caso contrario, si potrebbe tentare un ancor più scioccante ribaltone politico indicendo un nuovo referendum sulla Brexit, a cui, secondo un recente sondaggio di “Reuters”, una percentuale di popolazione oscillante tra il 48% e il 52% voterebbe per il “remain”. Uno scenario di questo tipo è comunque molto lontano dall'avverarsi, mentre sarebbe più semplice bandire un referendum nel quale la popolazione è chiamata ad esprimersi sull'accordo tra Londra e Bruxelles. Per Londra e Belfast si preannuncia un autunno molto caldo, e il rischio di bruciarsi è elevatissimo. -Adriano Livrieri
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AutoreSiamo due ragazzi con la passione per il mondo. Non conosciamo muri nè barriere, solo orizzonti Archivi
Ottobre 2018
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